Collegio Nazionale Capitani

‘O patt’ ‘a terr’ ‘ a rena, storia degli antichi contratti a voce stipulati a Torre del Greco

Articolo di martedì 24 settembre 2019



Collegio Capitani

I contratti nel settore blu, da sempre al centro delle collaborazioni tra lavoratore e armatore, venivano stipulati nel passato a voce


C’è una storia che non tutti conoscono, legata al mondo del mare e più precisamente all’arruolamento del personale a Torre del Greco sulle coralline.

Per raccontare questo pezzo di storia “blu” bisogna raccontare innanzitutto dell’esistenza delle cosiddette “coralline”: imbarcazioni di piccole dimensioni, realizzate completamente in legno, dalla lunghezza variabile tra i 9 e gli 11 metri.

Le coralline venivano utilizzate per la pesca del famigerato oro rosso: il corallo, ed è proprio da questo prodotto del mare che prendono il nome.

Affascinante la stipula del “contratto” che avveniva “a voce”.

Si parla del tradizionale “Patto a terr’’a rena”.

Traducendo, l’espressione significa, letteralmente: “accordo sulla spiaggia”.

La chiamata partiva a gran voce dall’imbarcazione dove l’Armatore o il Capo Barca gridava la disponibilità di posti a bordo e la paga relativa all’ingaggio.

Coloro che erano interessati, rispondevano, sempre “a voce”, alla chiamata.

In questo modo, davanti a numerosi testimoni, avveniva l’accordo tra le parti.

Questo momento pubblico sanciva l’inizio della collaborazione lavorativa e il fatto stesso che la “stipula” avvenisse sotto gli occhi di amici, parenti e curiosi, faceva sì che entrambi, datore di lavoro e lavoratore, fossero spronati a mantenere gli impegni presi.

Erano epoche in cui la parola data aveva un valore forte e la considerazione della comunità, circa la propria serietà, era pesantemente tenuta in considerazione.

L’impegno, a voce alta, coinvolgeva in maniera quasi romantica anche la corallina stessa, come fosse l’impegno preso anche dall’imbarcazione ad affrontare il mare ed impegnarsi nella preziosa pesca del corallo.

Per tranquillizzare i familiari del lavoratore, l’armatore offriva una stima orientativa dei giorni di mare che sarebbero stati necessari per portare a termine il lavoro (raggiungere la Sardegna e far ritorno). Questa stima veniva calcolata utilizzando la carta nautica dei “Mari d’Italia”, la sola esistente a quei tempi.

In modo rudimentale ma estremamente efficace, l’Armatore, utilizzando uno “spago da vela” legato a delle pietre, indicava sui suddetti carteggi, i percorsi che sarebbero stati battuti, individuati per punti.

La lunghezza dello “spago da vela” veniva poi convertita in miglia nautiche, in modo da ottenere le distanze effettive da percorrere tra i vari path (punti di traiettoria).

La conversione veniva calcolata ripiegando lo spago nel numero di volte necessario affinché corrispondesse alla scala delle latitudini della carta nautica che si stava considerando.

Orientativamente per giungere a destinazione impiegavano circa quattro giorni ed è in base a questo che venivano calcolati i salari.

Da alcune interviste a vecchi marinai che lavorarono sulle coralline nel periodo delle guerre Mondiali si è riusciti a ricostruire il percorso che veniva fatto.

Percorso espresso in lingua napoletana.

Si partiva da “‘o patt’ ‘a terr’ ‘ a rena” (Il patto prima della partenza), in ordine si toccavano i seguenti punti: “pont’ amperatura” (Punta Imperatore dell’isola di Ischia), “dint’ ì putin’ ” (attraverso le isole Pontine), si passava poi “p’’a torr’ astura” (per Torre Astura), “pe capuranz’” (Capo d’Anzio), “p’à pon’ ù far’” (Torre Faro al largo di Civitavecchia), “l’isula du giglio” (isola del Giglio), fino ad arrivare a “ù fanal’ da vocca a list’” (Porto di Alistro-Corsica) e attraverso “ì stintin’” (le bocche di Bonifacio) si giungeva nei punti di interesse sardi.


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